Una delle due: o il pozzo
era straordinariamente profondo
o ella ruzzolava giù
con grande lentezza,
perchè ebbe tempo, cadendo,
di guardarsi intorno e
di pensar meravigliata
alle conseguenze.
(Lewis Carroll)
Tralasciando il lavoro o le altre piacevolissime distrazioni familiari o personali, ogni giorno, negli ultimi cinque mesi, è stato caratterizzato dalle stesse routine.
Dal 21 Gennaio, infatti, praticamente tutte le mattine, mi sveglio presto, mi alleno con determinazione, mangio il più sano possibile e dormo, cercando di ricaricarmi al meglio, pronto per ripetere il ciclo il giorno successivo.
Come potrete immaginare, il rischio di cadere nella ripetitività in questo genere di programma così lungo è altissimo e mentre gli allenamenti all’aperto offrono svariate distrazioni che colorano ogni workout di sfumature diverse, quelli in-door possono generare dei pattern decisamente monotoni che, una volta superata l’iniziale euforia e il successivo periodo di assuefazione, tendono a provocare effetti a dir poco deliranti.
È quello che succede soprattutto ogni martedì e giovedì durante il mio adorato allenamento sulle scale.
Il fatto di averlo trascurato finora in questo blog probabilmente potrebbe sminuire la sua importanza. In realtà posso affermare con assoluta certezza che gran parte dei risultati ottenuti finora sono frutto di questo appuntamento fisso, due volte a settimana, ma ho ritenuto, proprio a causa della sua monotonia, che non fosse interessante parlarne nei miei racconti.
Oggi però ho deciso di rendergli gloria, cercando di descrivere, in un delirante flusso di coscienza in completa apnea, quello che da mesi vivo due volte a settimana, raccontando nello specifico l’ultimo workout fatto.
È un caldissimo giovedì di fine giugno. Sono le 9.30 ed il termometro segna già 35º.
Ignorando i consueti consigli stagionali di StudioAperto, invece di stare a riposo al fresco e ben idratato, decido di fare anche oggi il mio allenamento sulle scale.
Il workout è veramente intenso, ma fortunatamente dura soltanto 30 minuti, anche se ogni volta, appena do il via all’attività dal watch, è come se entrassi in una dimensione quantistica dove tempo e spazio non rispettano nessuna delle leggi della fisica dell’universo a noi conosciuto.
3, 2 ,1… Zero
Come di consueto si inizia in discesa, non solo perché abitando già al sesto piano risulta difficile andare più in alto per più di due piani, ma anche per non avere subito l’impatto psicologico della salita in partenza.
Giusto il tempo di selezionare la playlist che accompagnerà il mio saliscendi ed eccomi arrivato al primo piano, pronto per affrontare la prima scalata.
Non arrivo mai fino al piano terra, per non dovermi ogni volta intrattenere e spiegare agli altri condomini perché, anche nella giornata più calda di quest’anno, io decida di salire a piedi, non una, ma ben 10 volte.
La musica scelta è quella di Fatboy Slim. Il dj inglese, noto alla anagrafe come Norman Cook, che oltre a comporre ed arrangiare tracce perfette per mantenere altissimo il mio umore ed il mio ritmo, ha scelto un alias davvero particolare, la cui struttura ossimora descrive esattamente in due parole antitetiche, come il mio giovane e aitante animo sportivo si senta rinchiuso nel corpo di un pingue e paffuto quarantenne.
Uno
Il primo giro scorre veloce, sono ancora abbastanza lucido e fresco quando raggiungo nuovamente il sesto piano. La costanza avuta in questi mesi mi permette ormai di fare le prime rampe corricchiando, conscio che il ritmo a regime sarà decisamente diverso.
Non è ancora finita la prima traccia e sto già tornando verso giù. Neanche a farlo a posta le AirPods suonano Body Movin’, il cui titolo stesso mi esorta a continuare a muovermi veloce e tenere alto il ritmo dei miei passi fino al primo piano.
È buffo come ogni volta arrivato in quel pianerottolo, io veda uscire dallo stesso appartamento qualcuno di diverso. Probabilmente dietro quelle porte ci sono dei passaggi dimensionali che collegano Milano direttamente alle principali aree urbane del nord Africa, altrimenti dovrei pensare che decine e decine di persone di differenti nazionalità, accomunate apparentemente solo dalla stessa fede e dallo stesso idioma, riescano a convivere stipati in 50 metri quadri… ʾin shāʾ Allāh!
Ma bando alle ciance è il momento di risalire. Nonostante Gangster Trippin’ abbia un groove ancora più coinvolgente, il mio ritmo inizia a calare leggermente e, pur restando a testa alta, affronto le 10 rampe di scale che separano il sesto piano dal primo, scandendo uno scalino alla volta, beat su beat.
Due
La fatica ed il caldo sono ancora sostenibili, per cui riesco a concentrarmi sulla musica e sui miei passi. Riesco anche a ragionare sulla giornata che mi aspetta, pianificandone a mente i dettagli.
In media ci metto un po’ più di un minuto a scendere ed un po’ meno di due a salire, per cui all’inizio è facile utilizzare le tracce stesse, che durano all’incirca 3/4 minuti, come reminder sul giro completato, ma appena si va fuori sincrono bisogna tenerne traccia a mente.
Anche oggi incontro, l’unico condomino che vive nel palazzo fin da quando era ragazzino. Chissà se in tutti questi anni avrà mai visto qualcuno allenarsi su quelle scale. Sento che sussurra qualcosa tipo “continua così!”. Io rispondo con il capo accennando ad un gesto di saluto e di riverenza, senza interrompere la musica di sottofondo, ma con profondo rispetto e stima nei confronti del più “anziano” abitante del palazzo.
Tre
Terzo giro completato. Chissà se in realtà il mio scalpitio sulle scale dia fastidio a qualcuno. Inizio a pensare che dopo così tanto tempo dovrei trovare un’alternativa, anche se è veramente difficile pensare ad un workout così efficace e sopratutto così comodo visto che basta soltanto aprire la porta di casa.
Sfrutto la discesa anche per rifiatare e ritrovare la concentrazione. Se dovessi farla tutta di filato sarebbe decisamente più difficile. E pensare che molti runner seri si allenano a fare i vertical, percorrendo dislivelli pazzeschi in distanze cortissime e ripidissime. Pazzesco!
Il fatto che io non sia alla loro altezza lo si intuisce facilmente, infatti, dopo solo tre giri, la fatica inizia ad offuscarmi la mente e a farmi perdere l’orientamento.
Anche una cosa semplice come il conteggio dei piani inizia a diventare difficile. È allora che incomincio a sfruttare tutto ciò che mi circonda per rendermi conto di dove sono e di quanto manca.
Il primo piano ad esempio, oltre che al trafficatissimo via vai, è contraddistinto da una grossa macchia di intonaco sul muro che mi avvisa che è tempo di risalire, il quarto ha un portaombrelli pieno di cianfrusaglie e ramoscelli decorativi, mentre al quinto si trova da mesi una scaletta appoggiata accanto al portone, un disordinato, ma utile segnale che mi avverte che il prossimo piano è il mio.
Quattro
Arrivo al sesto piano con un po’ di fiatone ed inizio a percepire il caldo che sta infiammando le ultime giornate trascorse. Se fosse così facile perdere chili in proporzione ai liquidi eliminati, con una decina di workout come questo avrei già recuperato il mio peso forma.
Arrivato in cima faccio un giro di boa intorno al pilastro che sorregge e divide gli appartamenti. Quei pochissimi metri senza dislivello illudono il mio cervello che la fatica sia finita, un po’ come succede ai ciclisti che scalando le vette sfruttano ogni tornante per ricaricare le energie.
Cinque
Ogni volta che raggiungo il quinto giro è come se per un attimo la stanchezza si annullasse, forse perché il mio inconscio sa che manca meno di metà.
Per un attimo vivo la stessa sensazione di un sasso lanciato in alto che per una frazione di secondo sembra fermarsi a mezz’aria e gustarsi il panorama da quell’altezza, prima di precipitare inesorabilmente in un pozzo straordinariamente profondo.
Quel momentaneo stallo mi distrae e mi fa perdere quella concentrazione che aveva contraddistinto i primi giri ed i miei pensieri iniziano a vagare e a perdersi per le rampe. Il mio corpo continua a scendere ordinatamente, mentre la mia mente ruzzola giù con grande lentezza, come stesse cadendo, ma così lentamente da avere il tempo di guardarsi intorno e di pensar meravigliata alle conseguenze della caduta.
Sette… o forse sei…
Inizio a perdere la cognizione del tempo a causa della letale miscela di caldo, fatica, poco ossigeno e questa fitta e ciclica trama che si ripete e ripete all’infinito, esasperata dalle atmosfere sinusoidali dei sinth di Right Here Right Now che mi cullano in un loop onirico, dando il via ad un trip allucinogeno che trasforma quel semplice workout in un’esperienza mistica incredibile.
S e t t e
Tutto ad un tratto mi sento come Alice all’interno della tana del Bianconiglio, perché niente è come sembra e niente è come dovrebbe essere.
I punti di riferimento trovati finora iniziano ad essere più evanescenti e sfuggevoli e scalino dopo scalino inizio a perdere l’orientamento e tutto ciò che prima era familiare appare estraneo e nuovo.
La macchia del primo piano inizia a prendere forma nella mia mente, assumendo sembianze e significati più reconditi, come fosse un disegno di Rorschach.
Il battiscopa amaranto che delinea il contorno degli scalini prende vita come fosse il tratto animato in un livello avanzato di snake sul mio vecchio Nokia 2310.
I ramoscelli nel portaombrelli sembrano ondeggiare come accarezzati da una lieve brezza invisibile e silenziosa.
Ad un certo punto mi sembra perfino di incrociare la stessa persona due volte in due piani diversi, come in un improvviso deja vu.
E sopratutto non so più se sto salendo o se sto scendendo, come fossi prigioniero all’interno di un quadro di Escher.
Il desiderio di finire e di uscire da questo labirinto delirante è così forte che mi viene voglia di alzare bandiera bianca e chiuderla con 8 giri.
Otto?!?
Ho veramente fatto anche l’ottavo giro?!
Il mio inconscio deve averlo rimosso o devo avere avuto una sorta di amnesia temporanea come dopo un’esperienza di sonnambulismo, ma a occhi aperti. O ancora più probabilmente, devo averlo completato affidandomi solo all’inerzia e all’orgoglio del mio subconscio mentre la mia mente delirava.
Nove
Stringo i denti e affido le mie ultime energie alle ultime dieci rampe.
Ogni rampa è fatta da dieci scalini, ed ogni piano ha due rampe con venti gradini da scalare sia in salita che in discesa. Ad ogni giro faccio 10 rampe fatte da 100 scalini e ne scendo altrettante 10 con altri 100 balzi che portano giù fino al primo piano, per un totale di mille più mille gradini da fronteggiare in ogni workout.
Ecco sto dando i numeri!
Eppure martedì scorso non ricordo fosse stato così stancante, anzi mi sembrava fosse durato di meno, solo trenta minuti…
Il sudore ormai sgorga ininterrottamente, sommergendo gli occhi ormai piccoli e stanchi, ma anche se un po’ sfocato riesco a scorgere il quadrante del watch che segna ventotto minuti di workout.
Ci siamo, manca poco.
Le ultime rampe in salita e tutto sarà finito. Almeno per oggi, almeno per stamattina. Poi tutto dovrà ricominciare martedì prossimo e ripetersi ancora e ancora.
Dieci
Finito. Sfinito. Arrivato. Destato.
Proprio come Alice che si risveglia sul poggetto accanto a sua sorella, alla fine di quel meraviglioso viaggio, anch’io mi desto all’improvviso incredulo, ma appagato.
Forse era tutto un sogno, forse l’ho solo immaginato, o forse no. Non lo sapremo mai con certezza.
Completo il mio stretching su quegli scalini che non ho ancora varcato, quelli che vanno al settimo piano. Riprendo gradualmente fiato e torno ad essere lucido e contemporaneamente si riattiva il mio ascolto attivo.
Mi accorgo solo ora che Apple Music suona la canzone che da il nome a questo post, che forse sintetizza nel migliore dei modi questi miei folli e deliranti allenamenti:
Eat, Sleep, Rave, Repeat…
Fatboy Slim – Eat, Sleep, Rave, Repeat – EP (2013)
Ho percepito la fatica e la stanchezza del salire e scendere per 10 volte tutti quegli scalini, ma anche la voglia e la determinazione di portare a termine questa sfida. Continua così!!!
Grazieeeeee!!!!
Sei la mia super first follower!!!
Come fai a fare di una noiosissima e allucinante salita e discesa ripetuta all’ infinito, un racconto epico?
Sempre più bravo in resistenza, fantasia e scrittura!🔟🔝🔟