I wanted real adventures
to happen to myself.
But real adventures,
I reflected,
do not happen to people
who remain at home:
they must be sought abroad.
(James Joyce)
Neanche il tempo di disfare le valigie ed eccoci di nuovo in viaggio per vivere una nuova avventura, anche se solo per un weekend. Questa volta siamo solo in due, io e Rosanna, la mia dolce metà, destinazione Dublino, terra di fate e di folletti, poeti e scrittori, martiri e combattenti, le cui storie vengono narrate e ballate a ritmo della musica tradizionale celtica irlandese e celebrate da fiumi di birra al grido di sláinte!
In effetti ho approfittato di quest’ultima peculiarità alcolica per concedermi una tregua da un punto di vista alimentare, giusto per degustare un paio (o forse più…) di Guinness al giorno. Saltando questo rito avrei mancato di rispetto all’intero popolo irlandese, per cui, durante il weekend, ho dovuto cedere a qualche tentazione, ma vi prego non ditelo a Fabster!
La città di per sé non è così grande come altre capitali europee e si può visitare anche in un solo giorno. Abbiamo sfruttato, infatti, l’intera giornata di Sabato, per esplorare la città insieme a due cari amici, in lungo e in largo, ammirando il Dublin Castle, le cattedrali di Christ Church e di Saint Patrick, il Trinity College, il parco di St Stephens Green, le vie del centro e le sponde del fiume Liffey.
Gran parte del tempo lo abbiamo trascorso tra le vie della popolarissima Temple Bar, centro della vita notturna della capitale irlandese, grazie ai tantissimi pub e club che caratterizzano la zona dove una volta sorgeva l’abitazione di Sir William Temple, rettore del Trinity College intorno al XVII secolo, all’epoca circondata da giardini e da una passeggiata pedonale lungo il fiume, da cui deriva il nome attuale del quartiere.
È stata molto interessante anche la visita al Dublinia, il museo vichingo che ripercorre attraverso i secoli la nascita e lo sviluppo della città, dall’epoca vichinga fino al medioevo.
Anche se è possibile risalire, attraverso alcune fonti di natura bibliografica, a prime forme preurbane già in epoca romana, la storia narra che in principio erano presenti due distinti insediamenti posti nell’area dove confluivano fino a poco tempo fa, il fiume Liffey ed il Poddle, un suo affluente oggi parzialmente interrato. La loro fusione, intorno al X secolo d.C., diede vita all’odierna città di Dublino.
Uno dei due insediamenti era di origine celtica, Áth Cliath, da cui deriva il nome attuale della città in lingua irlandese Baile Átha Cliath, e si trovava sull’intersezione delle vie principali di comunicazione dell’epoca.
Mentre l’altro, Dubh Linn, di natura vichinga, si trovava nella zona dove oggi sorgono il Dublin Castle e Christ Church. Nel corso dei secoli, la traslitterazione anglosassone dal gaelico ha determinato l’attuale nome conosciuto in tutto il mondo, anche se i Dubliners autentici preferiscono ancor oggi far riferimento all’antico nome celtico.
La toponomastica dei due agglomerati descrive perfettamente la loro posizione e conformazione originaria: il nome Dubh Linn, infatti, si riferisce allo stagno nero dove i Vichinghi ormeggiavano le loro veloci imbarcazioni pronte a salpare per depredare le coste irlandesi, mentre il termine gaelico Áth Cliath significa letteralmente il guado dei graticci, in riferimento alle canne intrecciate che venivano utilizzate per attraversare quel terreno di natura paludosa.
Una volta rientrato in albergo, ho riflettuto a lungo sul percorso che avrei potuto effettuare l’indomani per completare i 25K previsti dal programma.
Da un lato mi stuzzicava l’idea di risalire il Gran Canal fino ad arrivare all’immenso Phoenix Park, uno dei parchi più vasti e più belli d’Europa, più esteso addirittura sia di Central Park a New York che di Hyde Park a Londra, popolato perfino da una colonia protetta di daini.
Altrimenti avrei potuto correre lungo le rive del Liffey in direzione del bellissimo Poolbeg Lighthouse, il faro posto al termine del molo interminabile che separa la foce del fiume dalla baia e permette alle imbarcazioni di accedere in sicurezza al porto di Dublino.
Fissando bene in mente entrambi i percorsi, ho pensato di rimandare la decisione all’indomani mattina, seguendo così l’istinto dell’ultimo istante.
Sempre con la stessa premura, avuta in Liguria, di sottrarre il meno possibile il tempo dedicato alla mia famiglia, mi sono svegliato prima ancora che il sole sorgesse per fare in modo di completare il mio workout in tempo per la colazione.
Anche questa volta, appena suonata la sveglia, mi sono domandato quanto fosse giusto e sensato alzarmi così presto per andare a correre, invece che dormire ancora un po’ e godermi con calma la città di Dublino.
Fortunatamente questo pensiero è durato giusto il tempo di aprire gli occhi, stiracchiarmi e ricordarmi la posta in palio ed i sacrifici fatti fino a quel momento.
Un attimo dopo ero già pronto per uscire.
La fortuna di avere trovato un hotel proprio davanti al Gran Canal, mi ha permesso di attraversare la strada e di ritrovarmi già sulla pista pronto a correre i 25k più lontano possibile dal traffico.
Il tempo non era dei migliori, ovviamente paragonato alle aspettative italiane, ma in Irlanda la pioggia fa parte praticamente del patrimonio culturale nazionale, per cui in questo caso la vera fortuna è stata trovare una temperatura mite, che mi ha permesso di completare il workout serenamente, senza soffrire né il freddo, né il caldo, a tratti inumidito da una pioggerellina leggera, ma davvero piacevole.
In Irlanda piove spesso e piove sopratutto più volte nella stessa giornata, questo a causa dei venti improvvisi provenienti da ovest che possono cambiare in un attimo la condizione del cielo, così come cantava la Mannoia, paragonando i cieli d’Irlanda ad una donna che cambia spesso d’umore.
E d’altronde se non piovesse così tanto l’isola non sarebbe così verde e florida.
Mentre indugiavo ai margini del canale, predisponendo il Tom Tom all’allenamento, mi è sembrato di vivere una situazione di assoluta familiarità. Nonostante mi trovassi a più di 1500km di distanza da Milano, stavo vivendo quei preparativi come un assurdo, ma intimo dejavu.
A colpo d’occhio, infatti, le somiglianze tra la ciclabile accanto al Gran Canal e quella che di solito percorro lungo la Martesana, erano tantissime e per un attimo ho quasi dimenticato di essere in terra straniera.
Esattamente come la Martesana anche il Gran Canal è stato costruito per unire la città alle vicine vie fluviali più importanti, connettendo così Dublino al fiume Shannon, così come l’Adda al capoluogo lombardo.
Probabilmente, illuminati dalla luce del sole, si sarebbero notate molte più differenze tra i due canali, sia da un punto di vista architettonico che naturale, palesandosi alberi, arbusti ed animali differenti da quelli autoctoni milanesi che in quel momento, in assoluta penombra, non riuscivo a distinguere.
In effetti ad un tratto un piccolo particolare mi ha riportato immediatamente alla realtà, il mio sguardo è stato attirato, infatti, da un gabbiano che stava planando dolcemente sull’acqua del rivolo, scena difficilmente osservabile nell’hinterland meneghino.
Suggestionato da questo piccolo segno, pur ritenendo davvero molto interessante il tragitto a ritroso del naviglio irlandese, ho deciso di correre seguendo la direzione della corrente, alla ricerca del mare.
Il programma era chiaro: dopo appena 2,5km avrei incrociato e seguito il fiume Liffey il cui corso termina proprio nella Baia di Dublino e, dunque, nel Mare d’Irlanda, da lì in poi sarei tornato indietro muovendomi lungo l’altra sponda, per poi rientrare in hotel attraversando Temple Bar e le vie del centro storico.
Il primo tratto lungo il canale è stato molto bello, i continui sali e scendi tra un ponte e l’altro rendevano più piacevole ed efficace il riscaldamento iniziale e le luci soffuse riflesse sull’acqua illuminavano la via senza dar fastidio agli occhi ancora intorpiditi dal sonno.
Poco prima di giungere al fiume ho attraversato l’innovation district della città, chiamato anche Silicon Docks vista la presenza di tantissimi uffici di molte aziende della Silicon Valley in California: Google, Facebook, Twitter, LinkedIn e tante altre grandi compagnie e piccole startup hi-tech.
Distratto da questa scoperta decisamente in linea con il mio essere nerd e attratto dalla possibilità di scovare qualche altro curioso particolare di quell’area, ho virato il mio tracciato verso est, rimanendo sempre parallelo al corso del fiume ed in direzione del mare.
Una volta attraversato tutto il distretto, oltrepassando il ponte sul fiume Dodder mi sono voltato per caso verso sud, scorgendo in lontananza la struttura del bellissimo Aviva Stadium, arena di prestigio di tante partite nazionali ed internazionali di calcio e rugby e location esclusiva di molti concerti. Anche se per dovere di cronaca, il vero santuario nell’ambito sportivo irlandese, rimane il Croke Park, che viceversa ospita solamente gli eventi riconosciuti dalla Gaelic Athletic Association, come il calcio gaelico, l’hurling, o il camogie.
Questa scelta decisamente patriottica è stata ulteriormente suffragata a fronte del terribile episodio di cronaca accaduto nel 1920, durante una delle tante Sunday Bloody Sunday di quell’epoca di terrore.
Il 21 Novembre di quell’anno, infatti, i blindati inglesi aprirono il fuoco sulla folla di tifosi sugli spalti, uccidendo quattordici persone, tra cui tre bambini e il capitano della squadra di Gaelic Football di Tipperary, Michael Hogan.
Da quel giorno, tranne qualche nobile recente eccezione, lo stadio è rimasto un tempio inviolabile, dedicato esclusivamente agli sport della tradizione irlandese.
Continuando il mio percorso verso la baia, mi sono imbattuto in un piccolo imprevisto. Ignaro che la banchina destra del fiume da un certo punto in poi fosse chiusa ai pedoni non autorizzati, perché destinata ai mezzi portuali, ho dovuto deviare il mio tragitto verso la zona industriale del porto dove sono dislocate la centrale elettrica ed il depuratore, due costruzioni decisamente lontane dalle mie aspettative per quella giornata di running all’aria aperta.
Più tardi avrei scoperto un’opzione molto più naturale ed allettante per raggiungere il faro, ossia la possibilità di attraversare l’Irishtown Nature Park, anche se così facendo forse avrei allungato un po’ troppo il tragitto. Sarà per la prossima volta.
Il panorama di questa zona, prettamente industriale, era caratterizzato dall’odore intenso e poco piacevole del depuratore e dalle altissime e fumanti ciminiere della centrale, le stesse che anni fa apparivano nel video dell’intramontabile Pride degli U2, band iconica proprio di Dublino. La moltitudine di inconfondibili container della Maersk rendevano coloratissima una zona altrimenti ingrigita dai due ecomostri.
Finalmente, dopo almeno un chilometro in semi apnea, l’orizzonte si è ampliato di colpo ed il mio sguardo è stato rapito dalla vastità della Baia di Dublino.
La baia, descritta tra l’altro dalla sapiente penna di James Joyce nel suo Ulisse, appare come una conca semicircolare, poco profonda e caratterizzata da moltissime secche e varie sporgenze rocciose, teatro, per questa ragione, di vari naufragi in passato.
Seppur completamente diversa sotto ogni punto di vista, a primo impatto mi ha ricordato la baia di Le Mont-Saint-Michel, non tanto per i panorami, che premiano di gran lunga l’incantevole costa della Normandia, ma per i simili movimenti delle maree, che al mio arrivo stavano iniziando a distendersi verso le rive ancora asciutte.
I gabbiani approfittavano di quegli ultimi istanti di secca per banchettare con i granchi più lenti e ritardatari che cercavano riparo delle prime onde in arrivo.
Poco più in là, si poteva scorgere il motivo della mia insolita deviazione verso il mare: il faro di Poolbeg attirava completamente e magneticamente il mio sguardo grazie al suo colore rosso intenso che contrastava il cielo cupo e carico di nuvole grigio scuro.
Il molo, come ben speravo, era aperto al traffico pedonale e si è dimostrato uno dei tratti percorsi più belli fatti finora in vita mia.
Immaginatevi un intero miglio, pavimentato con enormi massi levigati, che si estende verso l’orizzonte, mantenendo divisi, come amanti separati dallo scorrere del tempo, l’acqua salata del Mare d’Irlanda da quella dolce del fiume Liffey.
Nonostante la loro unione fosse già predestinata in fondo al molo, le loro onde cercavano con foga di superare gli argini per sfiorarsi anche solo per un istante prima di giungere insieme alla foce, schizzando il mio intrepido e costante andamento verso il faro, che sovrastava imponente la baia insieme al suo piccolo gemello verde smeraldo, posto in mezzo al fiume in balia delle correnti, entrambi a guardia del porto.
Il ritorno è stato decisamente più veloce, probabilmente per la soddisfazione di aver raggiunto durante il workout posti così unici ed incantevoli. Ho dovuto anche accelerare il passo in quanto arrivato sulla sponda nord del Liffey la pioggia era diventata più intensa e meno piacevole.
A quel punto, attraversato il Butt Bridge, mi sono diretto verso Temple Bar, ripercorrendo lo stesso tragitto fatto il giorno prima, ma tutto intorno a me appariva stranamente silenzioso e desolato a quell’ora del mattino, tutt’altro scenario rispetto alla sera precedente.
Sono passato nuovamente anche davanti alle cattedrali di Christ Church e di Saint Patrick e, siccome sabato eravamo riusciti a vedere solo una parte del Saint Stephen’s Green Park, ho pensato di completare l’intero anello all’interno, così da scoprire anche il resto del meraviglioso parco
Gli ultimi chilometri li ho percorsi nuovamente sul Grand Canal ritornando così dov’ero partito, pronto per continuare la vacanza da dove l’avevo momentaneamente interrotta, come se mi fossi appena svegliato.
In totale ho corso per 25km in poco più di 4h, con un pace di 9:48’/km e bruciando ben 3157 calorie.
Peccato che poco più tardi avremmo visitato il Guinness Storehouse, ripristinando completamente i carboidrati persi in forma liquida e soprattutto alcolica, rendendo praticamente vano ogni sacrificio fatto. Diversamente, però, sarebbe stato un atto imperdonabile andar via senza aver vissuto anche quell’esperienza e ovviamente aver degustato un paio di pinte di Guinness direttamente alla fonte.
Sono stati due giorni meravigliosi ed il percorso fatto è stato senza dubbio uno dei più belli, tra quelli urbani, che ho avuto modo di correre fino adesso.
Mi ha dato modo di rivedere Dublino con occhi diversi e scoprire luoghi che altrimenti non avrei avuto modo di esplorare.
Se fossi rimasto a dormire non avrei potuto vivere e raccontare questa bellissima esperienza, d’altronde le vere avventure non capitano mai a chi rimane a casa: bisogna andare a cercarsele altrove.
Arrivederci Dublino, o meglio ancora, per non far torto a nessuno:
Slán Baile Átha Cliath, slán Dubh Linn!
Dealan – Dubh Linn – Creuant els mons (2007)
E’ come se avessi visitato anche io Dublino. Fantastico post!